I fantasmi del cappellaio – Georges Simenon (1948)

Piove da settimane a La Rochelle, piove esattamente dal 13 novembre, giorno dell’omicidio di un’anziana signora, trovata morta nei pressi della chiesa di Saint Sauveur, non lontano dal canale.

La pioggia non accenna a fermarsi, come non si ferma la mano dell’assassino: cinque donne, ormai non più giovani, uccise in meno di un mese, strangolate con una corda di violoncello.

La cittadina è in preda al panico e anche Kachoudas, il piccolo sarto di rue du Minage, esita ad uscire dopo il lavoro per raggiungere il Café des Colonnes; solo la presenza in strada del Signor Labbé, il cappellaio con il negozio di fronte al suo, lo spinge a farsi coraggio.

Così, quando il primo esce dalla sua bottega, il secondo lo segue a distanza, finché entrambi raggiungono il Caffè dove Labbé prenderà il suo posto al tavolo da gioco, mentre Kachoudas rimarrà a guardare gli altri giocare, separato socialmente da una distanza incolmabile.

Poi un particolare, qualcosa di bianco, un piccolo pezzetto di carta di giornale…

Questo l’incipit di uno dei più celebri romanzi di Simenon, il primo dei vostri suggerimenti di lettura con cui inauguriamo questa sezione.

I fantasmi del cappellaio rappresenta il punto di arrivo di una sorta di trilogia: si tratta infatti della riscrittura di un precedente racconto di Simenon, Il cappellaio e il piccolo sarto già, a sua volta, oggetto di revisione, soprattutto nella parte finale, nella versione intitolata Beati gli umili che valse all’autore il premio per il miglior racconto poliziesco dell’anno della Ellery Queen’s Mystery Magazine.

(La prima stesura e le modifiche apportate all’ultimo capitolo, in occasione della seconda, sono pubblicate in appendice al libro, nell’edizione della collana Gli Adelphi).

Una rielaborazione in più momenti, peraltro temporalmente ravvicinati, che ribalta la prospettiva della narrazione – quella del sarto nel racconto, quella del cappellaio nel romanzo – mostrandoci tutta la capacità di Simenon di entrare nella mente dei suoi personaggi.

Gli eventi restano in secondo piano, fin dalle prime pagine ci viene infatti rivelata l’identità del serial killer, quasi un escamotage per introdurre il lettore al tema centrale, sotteso alle vicende: la psiche umana, i suoi abissi, i suoi incubi.

Sullo sfondo la vita monotona di una cittadina di provincia, fatta di abitudini piccolo-borghesi, a fare da contrasto ai fantasmi e alle ossessioni dei protagonisti, ancor più esaltati dall’atmosfera cupa e nebbiosa dell’autunno sulla costa atlantica.

Così, pagina dopo pagina, si rimane catturati dalla maestria con cui Simenon ci immerge nella paura complice e paralizzante di Kaschoudas, nella lucida follia dell’omicida, che lentamente ma inesorabilmente si trasformerà in esasperazione e infine in disperazione, fino quasi a spingerci ad un sentimento di pietà per l’assassino e dove tutto, persino la perdizione, finisce per avere un senso.