Fannie Flagg – Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop (1987)

La prima volta che mi sono “imbattuta” in un suo libro fu per caso. A dire il vero mi aveva incuriosito il titolo, Pane cose e cappuccino dal fornaio di Elmwood Springs (nella versione originale Welcome to the World, Baby Girl!). Ho scoperto in seguito che molti dei suoi romanzi, almeno nella traduzione italiana, presentano titoli di insolita lunghezza e originalità, in stile Lina Wertmüller. Fin da allora, la sensazione fu quella di trovarmi di fronte alla visione di un film piuttosto che ad un romanzo. Forse perché oltre ad essere una scrittrice di successo, Fannie Flagg è stata anche attrice  e  sceneggiatrice, sta di fatto che la sua capacità di dipingere, con leggerezza ed ironia, le mille sfaccettature dell’universo femminile, ci restituisce ogni volta personaggi così “veri” da sembrare quasi di poterli vedere, di poterli toccare.

“Scelti da noi” apre i battenti proponendo la lettura del suo primo romanzo, Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, bestseller internazionale anche grazie alla trasposizione cinematografica Pomodori verdi fritti alla fermata del treno (1991), che valse alla stessa Flagg la nomination all’Oscar per la sceneggiatura e vide la partecipazione di due attrici del calibro di Jessica Tandy nel ruolo di Ninny e Kathy Bates in quelle di Evelyn.
La storia si snoda su due piani temporali. Il presente, ambientato negli anni ‘80 nella casa di riposo Rose Terrace dove Ninny, anziana e arzilla signora, incontra Evelyn, donna di mezz’età ormai prossima alla menopausa, depressa, delusa di se stessa e della vita, in visita ad una parente ospite della struttura. Poi c’è il piano dei ricordi, i tempi della giovinezza di Ninny, nell’Alabama degli anni Trenta. Così, dalla memoria di un tempo lontano, riaffiora la storia dell’amore fra Ruth ed Idgie, le giovani proprietarie del Caffè di Whistle Stop, della loro forza nello sfidare la convenzioni sociali, il maschilismo imperante, l’odio razziale. Riemergono i volti di Sipsey e Big George, gli angeli protettori di Idgie fin da quando lei era bambina, eppure così esposti ai pericoli riservati ai neri nell’America segrazionista di un secolo fa. Poi Smokey il solitario, senzatetto fin da ragazzo che, per la prima volta nella sua esistenza, in quel caffè cessa di essere un invisibile, un indesiderato. Così il racconto di Ninny si popola delle tante persone i cui destini, in un modo o nell’altro, si erano incrociati nel locale di Idgie e Ruth.  

E il passato finisce per intrecciarsi con il presente, e il presente trae forza da quel passato. Con una scrittura irresistibilmente ironica, in grado però di farsi profonda e malinconica, Fannie Flagg ci fa sorridere e ci commuove; in un romanzo solo apparentemente leggero, affronta temi come il razzismo, l’omosessualità, il vagabondaggio, l’eutanasia, alcuni dei quali sono stati tralasciati o quanto meno molto attenuati, probabilmente per ragioni commerciali, nella versione hollywoodiana.

C’è un po’ di tutto in questo libro: amore, violenza, odio, amicizia, dolore, dignità, c’è la complessità dell’esistenza e la forza per affrontarla.