Il giro del mondo in 80 pezzi – A Parigi sulle tracce di un “Passerotto”

C’è chi si mette in viaggio per seguire la squadra del cuore, chi per gustare le prelibatezze di percorsi enogastronomici… noi abbiamo deciso di partire alla ricerca dei legami tra musica e la terra che l’ha espressa o ispirata. Così è nato il nostro “Giro del mondo in 80 pezzi” e qui inizia il nostro itinerario.

Parigi è sempre superbamente bella, anche adesso che siamo in febbraio.

La nebbia l’avvolge come una pelliccia intorno alle spalle di una bella donna e la leggera coltre di neve destinata a sciogliersi al primo sole, l’ammanta del fascino di una città incantata.

Non è la prima volta nella Ville Lumière, inoltre la stagione ci spingerebbe ad indirizzarci subito verso la nostra meta, ma è impossibile non lasciarsi stregare dalla magia del luogo e i piedi ci conducono su itinerari già battuti.

Il nostro albergo si trova a Montparnasse e raggiungiamo velocemente il VI° arrondissement: ci soffermiamo nei Giardini del Lussemburgo, poco importa se la natura non può concederci il suo volto migliore, attraversiamo il Quartiere Latino fino a raggiungere la Rive Gauche e rimirare l’Ȋle de la Cité.

Il freddo è pungente, gli indumenti non riescono a schermarlo fino in fondo, e ci spinge a ricercare il tepore di uno dei tanti cafés della zona.

Rifocillati da una tazza di tè fumante, ripartiamo affidandoci al Metró e in meno di mezz’ora raggiungiamo Belleville nella periferia parigina, tra il XIX° e XX° arrondissement.

Reso popolare dai romanzi di Daniel Pennac, che qui ha ambientato la saga di Malaussène, questo quartiere un po’ in collina, vivace e pittoresco, è considerato oggi la zona più cosmopolita di Parigi, ricca di fermenti e nuove tendenze.

Neanche il grigio dell’inverno parigino riesce a smorzare i colori della sua street art, dei negozietti esotici, dei ristorantini etnici, dei caffè affollatissimi, dei pubs dove ascoltare buona musica, delle gallerie d’arte…

Mentre risaliamo Rue de Belleville, non possiamo fare a meno di domandarci come sarà apparsa questa via agli occhi di una gracile bimba che, nata in una fredda giornata del 1915 avrebbe, in seguito, conquistato il mondo con la sua voce.

Al numero civico 72 leggiamo una targa “Sur les marches de cette maison naquit le 19 Décembre 1915 dans le plus grand dénuement Edith Piaf dont la voix, plus tard, devait bouleverser le monde” (Sui gradini di questa casa nacque il 19 dicembre 1915 nella più grande miseria Edith Piaf la cui voce, in seguito, avrebbe sconvolto il mondo)

In realtà la piccola Edith Gassion (questo il suo vero nome) nacque all’Ospedale di Tenon e, figlia di artisti di strada, con il padre chiamato al fronte e la madre totalmente incurante dei suoi doveri, fu dappirma cresciuta nell’indigenza e nell’abbandono più assoluto dalla nonna materna, poi in un bordello in Normandia, gestito dai nonni paterni. Nonostante l’assurdità della situazione, le giovani della “casa” si presero cura di lei, scricciolo indifeso, quasi cieca per una cheratite agli occhi, da cui guarì miracolosamente.

A sette anni il ritorno a Parigi con il padre, trascinata da una piazza all’altra per intenerire i passanti e raccogliere qualche soldo in più alla fine delle esibizioni. Fu proprio in una di queste occasioni che, in risposta a chi le chiedeva un’acrobazia, la piccola Edith cominciò a cantare e da allora non avrebbe più smesso. Dapprima con il padre, poi da sola, poi con Momone, una donna conosciuta per strada che le farà da braccio destro.

Sarà proprio per strada che avverrà l’incontro con il giovane Louis Dupon: da questo amore adolescenziale nascerà una figlia, strappata alle braccia di Edith a soli due anni e mezzo per una meningite. La disperazione per la perdita della bambina e l’alcol in cui spesso Edith si rifugia sembrano avere la meglio, poi la svolta. Louis Leplée, direttore del cabaret Gerny’s, la invita per una audizione e Edith canta la strada, i suoi colori, le sue grida, la povera gente, i vagabondi, il freddo delle notti, la solitudine (Les mômes de la cloche).

Il giorno del debutto Edith si presenta con un vestito che lei stessa si è cucita, ma senza riuscire a finirlo, e si esibirà con un foulard a coprire l’assenza di una manica. Quella sera viene presentata al pubblico come Môme Piaf (nell’argot parigino “la piccola ragazza passerotto”) lei così minuta e piccola (non arrivava al metro e cinquanta).

Il successo cresce esibizione dopo esibizione, sotto la guida sapiente di Leplée, che le fa da pigmalione, ma la sfortuna bussa di nuovo alla porta: Leplée viene assassinato.

Per la Piaf è un duro colpo ma continua a cantare e il suo popolarità aumenta di giorno in giorno: le prime incisioni, le esibizioni nei locali più famosi di Parigi, il Bobino, L’Européen, l’ABC, il Moulin Rouge.

La sorte sembra finalmente aver imboccato la strada giusta e durante una tournée negli Stati Uniti, Edith incontra il grande amore, un amore clandestino, quello con il pugile Marcel Cerdan sposato e con figli. Ma la tragedia incombe nuovamente nella vita della cantante: nell’ottobre del 1949 l’aereo su cui viaggia Marcel si schianta al suolo.

La Piaf è disperata ma non si lascia sopraffare dal dolore: porta avanti la sua carriera, lancia quella di molti altri (Charlez Aznavour, in precedenza Yves Montand), si sposa.

Poi due incidenti stradali nel giro di tre anni, la lotta contro la dipendenza da morfina, somministratale in occasione del primo incidente, l’artrite, la depressione, il divorzio dal marito; il vortice di dolore e depressione che l’attanaglia culmina con un malore sul palcoscenico nel 1959 quando, durante un concerto a New York, crolla a terra priva di sensi.

Profondamente provata rientra a Parigi, dove regalerà al suo pubblico una serie di esibizioni per sostenere il teatro Olympia e durante le quali canta per la prima volta la famosissima Non, je ne regrette rien.

Nel 1962 si sposa per l’ultima volta; il 10 ottobre del 1963, a soli 48 anni, muore per un aneurisma, probabile conseguenza della cirrosi epatica, di cui era sofferente da anni a causa della grande assunzione di farmaci.

Alle oltre 300 canzoni incise è affidato il ricordo di questa grande artista, la cui voce si è riempita dei colori delle strade e delle piazze in cui si è esibita, del dolore che l’ha accompagnata per l’intero arco della sua esistenza, del bagaglio di una vita difficile, delle perdite subite.

C’è tutto questo nella voce di questa figlia di Parigi, che noi vogliamo ricordare con uno dei suoi pezzi più celebri ed intensi.