Silena Santoni: l’Arte di Scrivere

Conoscere Silena Santoni ha significato imbattersi in un felice connubio di competenza, capacità e versatilità. Se infatti, ormai da diversi anni, l’autrice fiorentina sembra aver trovato nella scrittura la sua più naturale forma espressiva, la sensazione è stata quella di incontrare un talento eclettico, in grado di manifestarsi attraverso mezzi diversi, non ultima anche una pregevole abilità pittorica e decorativa.

Insegnante di lettere, attrice, sceneggiatrice ed infine scrittrice, è stata la passione per il Teatro a farla approdare al testo scritto.

“Volevo avvicinare i miei alunni al Teatro, così iniziai a frequentare i corsi di approfondimento per docenti. Quelle con Angelo Savelli, Duccio Barlucchi e Riccardo Rombi, che poi è diventato il mio insegnante, sono state esperienze formative bellissime. Nel 2002, finita la scuola, con mio marito ed altri allievi del laboratorio C.R.F. abbiamo messo su una compagnia dilettantistica, Katapult e lì ho cominciato a scrivere e a riadattare sceneggiature per la compagnia. Quella è stata la molla.”

Pensi che la tua lunga esperienza teatrale, oltre a spingerti incidentalmente verso il testo scritto, abbia influito anche sul tuo modo di scrivere?

Ne sono convinta. Io non ho frequentato scuole di scrittura creativa, sono un’autodidatta, ma credo di non essere mai caduta nell’ingenuità, molto comune fra i principianti, di essere didascalica. Certo, per tutta la vita ho insegnato lettere, da sempre sono un’appassionata lettrice, ma è stato soprattutto il Teatro ad aiutarmi in tal senso.

Credo poi che da quell’esperienza derivi il fatto che, mentre scrivo, non penso mai in termini di pagine e capitoli, ma di scene; e forse anche per questo in molti riscontrano un taglio cinematografico nei miei romanzi.

I tuoi esordi letterari ti hanno valso da subito premi e riconoscimenti…

Sì, nel 2015 Il canto dell’aragosta, romanzo mai pubblicato, ottenne una menzione d’onore al Premio letterario Città di Cattolica. Seguì un breve racconto, Volver, che mi valse il Fiorino di bronzo al Premio Conti di Firenze, per la sezione “Racconto inedito”. Lo scrissi in un paio di giorni, sull’onda delle suggestioni di un viaggio in Argentina e poi è diventato il punto di partenza per il romanzo omonimo. Successivamente, nel 2017, scrissi Una ragazza affidabile.

Una ragazza affidabile è stato il tuo primo romanzo pubblicato ed ha avuto un ottimo riscontro sia di critica che di lettori. Posso chiederti com’è stato il tuo impatto con il mondo dell’editoria?

Inizialmente molto faticoso. Ci sono centinaia di case editrici tra cui è estremamente difficile orientarsi; ero comunque certa di non essere disposta a pagare per vedere il mio romanzo pubblicato. I primi tentativi sono stati vani, poi la fortuna ha voluto che il mio libro sia piaciuto alla Casa Editrice Giunti. Figurati che, quando mi telefonarono, pensai si trattasse del contatto di un call center e di getto risposi “Grazie, non sono interessata ad alcuna vendita”. Di tutta risposta: “Veramente io sono Direttore della Giunti!”

Immagino la sorpresa e l’emozione…

Sulle prime non riuscivo a crederci, poi sono entrata in questo mondo e mi sono accorta che era il luogo in cui avrei voluto trovarmi da sempre, mi sono sentita fin da subito a mio agio. Ricordo la prima volta che entrai in redazione, quell’odore di carta stampata … era tutto così bello! Da allora sono passati più di sei anni, ad oggi ho pubblicato tre libri, ne sto completando un quarto, è diventata un po’ una routine ma mi emoziono sempre quando esce un mio romanzo che, in fondo, è una parte di me.

In Una ragazza affidabile troviamo quella che mi è parsa essere, almeno in parte, una tua cifra stilistica, ovvero l’intreccio della storia dei personaggi con la Storia di un Paese.

Questo in effetti è un aspetto che ricorre, anche se non sistematicamente, nei miei libri e richiede un grande lavoro di ricerca e documentazione. In Una ragazza affidabile, attraverso il racconto di un rapporto complicato tra due sorelle, ho rievocato il ventennio di storia che va dalla fine degli anni ‘50 a quella degli anni ‘70, dal boom economico agli anni di piombo. In Volver l’intreccio è ancora più eclatante.

Immagino che, per la stesura di Piccola Città, pubblicato nel 2020, la tua lunga esperienza teatrale sia stata fondamentale.

Sicuramente è stato un elemento importante. Piccola Città oltre ad essere il titolo del libro è il nome della commedia che il protagonista scrive e mette in scena con un gruppo di altri attori: in qualche modo, come una storia a scatole cinesi, la commedia finisce per intersecarsi con la vita privata e il romanzo si apre al metateatro: gli attori smettono di essere personaggi diventando loro stessi personaggi come persone e, a loro volta, si riflettono nella vicenda raccontata.

Veniamo a Volver, un noir di grande intensità che con vero piacere abbiamo anche proposto come suggerimento di lettura nella sezione “Libri – Proposte di lettura”). È un romanzo corale in cui la storia dei personaggi si mescola con quella della dittatura militare argentina della seconda metà degli anni Settanta. Leggendolo, si ha l’impressione che l’atteggiamento con cui i protagonisti si rapportano alle vicende legate alla giunta militare di Vileda possa rappresentare anche uno specchio delle diverse modalità con cui la stessa società argentina si pose di fronte alle tragiche vicende di quegli anni.

Posso dirti di essere rimasta colpita dal fatto che molti argentini, che vivono in Italia o comunque sono di origine italiane e vengono regolarmente nel nostro Paese, mi abbiano scritto dopo aver letto il libro. Pensavano che avessi vissuto in Argentina durante il regime e mi hanno confermato che le cose sono andate davvero così, facendomi inoltre capire di aver messo il dito su una ferita ancora aperta per il popolo argentino che all’epoca rimasto sostanzialmetne passivo, come lobotomizzato dalla paura.

L’unica voce che si alzò, e per anni ha continuato a farsi sentire, è stata quella della madri e delle nonne di Plaza de Mayo; il tuo romanzo ha reso omaggio alla forza instancabile di donne come Maria Adela Gard ed Estela Barnes de Carlotto, per citarne solo due.

Inoltre, nella storia, ci imbattiamo nella figura del console Filippo Campolmi, ispirata a quella di Enrico Calamai, il diplomatico italiano che riuscì a mettere in salvo più di trecento persone ricercate dal regime. Hai avuto contatti con lui durante la stesura del romanzo?

Sì. Per tutta quella che è stata la sua attività politica ho potuto documentarmi leggendo i libri in cui lui stesso ha raccontato la sua esperienza a Buenos Aires. Per gli aspetti più personali, sui quali ho lavorato di fantasia, ho ritenuto opportuno avere la sua autorizzazione prima di dare il romanzo alle stampe, vista l’estrema riconoscibilità del personaggio.

Dicevi che stai lavorando ad un nuovo libro, puoi darci qualche anticipazione?

In realtà è praticamente ultimato e con tutta probabilità verrà pubblicato la prossima primavera. Si tratta di un romanzo gotico, ispirato alla vita di Mary Shelley. Ho voluto addentrarmi in un nuovo genere perché amo cambiare, sperimentare; al di là di questo, si tratta della storia dell’affrancamento di una donna che si emancipa dal padre, dal marito, da un modo di pensare di una determinata cultura e dalle tante sofferenze che la vita le ha riservato. Anche in questo caso il lavoro di ricerca è stato molto accurato, non tanto per ricostruire gli eventi storici del primo ventennio dell’Ottocento, di cui nel romanzo c’è solo un’eco lontana, quanto per ricreare l’ambientazione di quell’epoca a cavallo tra Illuminismo, Rivoluzione francese, Restaurazione ed età vittoriana. Inoltre mi sono divertita a disseminare vari riferimenti letterari, per chi li voglia cogliere.

Qual è la tua idea di scrittura e del rapporto tra scrittore e lettore?

Prima di tutto sono convinta che un libro, una volta pubblicato, non appartenga più al suo autore ma a chi lo legge e credo debba esserci un’interazione attiva tra libro e lettore. Penso che compito del romanziere non sia utilizzare i propri scritti per somministrare una determinata visione, quanto quello di suscitare dubbi, domande, interrogativi cui il lettore darà la risposta più opportuna. Mi piace mettere in moto un meccanismo, non concluderlo.

All’inizio di questa chiacchierata hai detto che mentre scrivi si formano davanti ai tuoi occhi le scene in cui i tuoi personaggi prendono vita. Sono loro a guidare la tua scrittura?

Sì, sono i personaggi che progressivamente mi guidano nella storia in base ad una legge di coerenza. Quando scrivo entro totalmente nella loro dimensione. Come il Teatro, anche la scrittura mi regala quella speciale immedesimazione che porta a poter vivere tante vite, ed è un regalo emozionante e prezioso.