I “Fuori Categoria” – Tra passato e presente: Enya

È musica new age? È musica celtica? O forse, è qualcosa d’altro…? L’interrogativo è d’obbligo alla fine dell’ascolto di un suo brano. Infatti, le sonorità antiche, eteree e un po’ mistiche, che pervadono l’intera produzione musicale di Enya, sembrano trasportare l’ascoltatore in un’era ormai dimenticata, in cui gli antichi popoli avevano raggiunto un alto grado di civiltà; la sua musica resta come sospesa nel tempo e per questo parzialmente difficile da definire in alcuni suoi tratti. Peraltro Enya stessa ha sempre cercato di sfuggire alle categorizzazioni troppo marcate e ad alcune etichette che sono state attribuite al suo stile, come quella new age.

Quel che è certo è che Enya Patricia Brennan, questa la resa fonetica inglese del suo nome, mette tutta la sua Irlanda dentro le canzoni che compone e in cui suona e canta, con l’aiuto dei Ryan, Nicky e Roma, coppia musicale che sta dietro pressoché tutti gli album di questa artista. Ha la musica letteralmente nel sangue: nata nel 1961 a Gaoth Dobhair, paesino in cui ancora si parla la lingua tradizionale irlandese, da una famiglia di musicisti, ne segue le orme sin da giovane, prima in un gruppo e successivamente imbarcandosi nell’avventura solista che la porterà a vincere premi prestigiosi e a guadagnarsi una fama mondiale.

Il 1987 segna il suo debutto, e nel primo album compaiono tracce che fanno parte della colonna sonora di un documentario intitolato “The Celts”, realizzato l’anno prima. Da questa prima uscita, si verifica un crescendo di gradimento e riconoscimenti: il secondo album, Watermark, ne consacra il successo.

Enya ricerca fin dall’inizio le atmosfere tradizionali e antiche della sua terra per trasferirne l’essenza profonda nei suoi brani e i testi, anche se in prevalenza in inglese, contengono quasi sempre inserti in gaelico; allo stesso tempo studia alacremente le molteplici opportunità offerte dalle tastiere elettroniche e dagli effetti vocali. Per questo, la ricerca della tradizione non sfocia mai in una pura e semplice trasposizione: Enya attinge moltissimo dalla musica elettronica e la voce, sapientemente elaborata, viene arricchita di effetti resi possibili dalla moderna tecnologia, a dare vita a qualcosa di unico, antichissimo e modernissimo al tempo stesso.

I suoi brani sono caratterizzati da distesi e avvolgenti “tappeti” musicali, in cui la sezione ritmica è sempre piuttosto discreta e leggera. La voce è delicata, estremamente gradevole tanto negli acuti quanto nelle tonalità più basse. Il cantato è tutt’altro che lineare: estremamente complesso, sostenuto da una vocalità riverberata e dalla polifonia, elementi non presenti nella musica folk. Il “muro” o “onda” di suono diffuso è ottenuto mediante un altissimo numero di sovraincisioni della voce con un risultato sorprendente. Enya stessa suona le parti strumentali dei suoi brani, avvalendosi di tastiere elettroniche.

Tali effetti risultano molto complessi da riprodurre su un palco live; questo, unitamente al carattere riservato della cantautrice irlandese, ha fatto sì che le sue esibizioni dal vivo non siano state frequenti sebbene ampiamente apprezzate dal pubblico. La sua impronta inconfondibile si riconosce in ognuna delle sue canzoni, dal primo all’ultimo album: accanto ai più celebri Only Time, Anywhere Is e Orinoco Flow, il brano Book of Days, tratto dal suo terzo album, Shepherd Moons (Warner Music,1991), ben esemplifica il suo stile unico: a noi il piacere di riproporvelo… a modo nostro.