“Non chiamarmi sorellina”, Pathos Edizioni 2022 – Due chiacchiere con Cristiana Vigliaron

Sempre in cerca di nuovi autori da poco affacciatisi nel panorama editoriale, ci fa molto piacere “ospitare” Cristiana Vigliaron, che nell’aprile scorso ha pubblicato il suo primo romanzo Non chiamarmi sorellina, edito da Pathos Edizioni.

Bentrovata Cristiana, grazie per aver raccolto il nostro invito. Che ne diresti di iniziare questa chiacchierata partendo dalla fine, dall’ultimissima pagina del libro, ovvero quella dei ringraziamenti?

Ci è molto piaciuta la tua affermazione: “Per chi la scrive, l’ultima pagina di un libro è una specie di conclusione di un capitolo della propria vita. Un concentrato di ansie, emozioni, aspettative, timori rinchiusi in un copertina colorata che passerà di mano e inevitabilmente racconterà qualcosa di te, oltre che dei personaggi narrati”.

Com’è nata l’ispirazione per questo romanzo, e cosa ci raccontano le sue pagine di Cristiana Vigliaron?

Innanzitutto grazie per avermi offerto la possibilità di parlare del mio romanzo, un pezzo di me stessa svelato agli altri. Credo che sia questa la spinta che muove uno scrittore, o almeno nel mio caso è così: lasciare un’impronta attraverso una storia verosimile nella quale ci si può immedesimare, che può trasmettere un’emozione autentica, lasciare qualcosa a chi la legge. Questa è un po’ la mia filosofia quando scrivo, cerco di lasciar viaggiare la mente, far emergere il mio vissuto, incanalarlo nel flusso della storia e vedere dove mi porta. In questo caso mi ha trasportato a un tempo che non ho vissuto personalmente, gli anni ‘70, ma dei quali ho cercato di ricostruire soprattutto l’atmosfera. Mi ha portato da una famiglia che arranca per andare avanti, una giovane donna che fatica ad emanciparsi, un rapporto tra fratelli che è il perno attorno al quale ruota la storia. Da qui il titolo Non chiamarmi sorellina, un titolo che lega un fratello e una sorella, Francesco e Silvia, con un nodo che nemmeno le insidie del destino potranno sciogliere. L’ispirazione del romanzo nasce dalla voglia di tratteggiare alcuni personaggi verosimili, con le loro debolezze e fragilità, di metterli di fronte al destino e di immaginare come reagiranno.

Proseguendo nella lettura dei ringraziamenti, veniamo ai personaggi: Beatrice, Francesco, Silvia, i principali, ma anche Agostino, Dario, Lucinda, Sergio, Alma, Domenico. Ad eccezione degli ultimi tre, verrebbe da definirli “anime perse”, ognuna con i suoi demoni, con ferite che stentano a rimarginarsi, in alcuni casi senza alcuna possibilità di guarigione.

“Nella mia testa è come se fossero vissuti realmente”, scrivi, e non si fatica a crederlo, visto il modo in cui sei riuscita a tratteggiarli a trecentosessanta gradi, scavando in profondità nella dinamica delle loro azioni e delle loro motivazioni. Pensi che la tua formazione psicopedagogica ti abbia sostenuto in questo scandaglio introspettivo dei personaggi? Come hanno preso vita i loro profili?

Beh è innegabile come il lavoro sulla psicologia dei personaggi sia stato la molla per costruire l’intreccio. Non so quanto dipenda dai miei studi oppure dalla mia indole di psicanalizzare le persone, ancor prima dei personaggi! Certo la mia formazione ha influito e influisce tutt’ora nelle storie che racconto. E a forza di idearli, di pensare al modo in cui si comporterebbero sulla base di come li ho costruiti, come reagirebbero messi davanti a scelte, situazioni imprevedibili o semplicemente al flusso della vita, nella mia testa vi posso assicurare che esistono realmente. Quando descrivo una scena è come se una pellicola mi girasse in mente, prima visualizzo i personaggi, ciò che dicono e fanno e poi cerco di trovare le parole per rappresentarli, per tracciare una strada in loro compagnia senza perdere di vista la meta finale, il viaggio che stanno intraprendendo. Perché i personaggi stanno andando pian piano verso una meta e il mio ruolo è quello di accompagnarli, di prenderli per mano.

Cerco di approfondire la psicologia dei personaggi come è avvenuto per Silvia, l’aspetto probabilmente più complicato nel delineare la sua personalità è stato l’intento di rendere verosimile il meccanismo psicologico masochista che la intrappolava in quella parte negativa di sé, quasi non si sentisse meritevole di un riscatto, di una felicità finalmente a portata di mano.

Veniamo all’ambientazione del romanzo: la provincia piemontese degli anni settanta, gli “anni di piombo”, gli anni della contestazione operaia. Perché questa scelta temporale?

Devo ammettere che sono state due le ragioni di questa scelta. Le storie che scrivo, ci sono altre storie che ho tenuto nel cassetto forse perché non ero ancora pronta a condividere con gli altri questa intimità della scrittura, sono tutte ambientate in periodi storici diversi. Credo che sia un modo per dimostrare come un periodo storico possa influenzare il flusso della vita e il destino dei personaggi. Gli anni ‘70 tornano periodicamente alla ribalta negli abiti, nella musica, negli arredi. Questo gusto vintage mi appartiene ma è soprattutto la voglia di partecipazione dei giovani ad aver ispirato il personaggio di Francesco, un ragazzo che, col suo eskimo abbottonato fino al collo e l’idealismo, vacilla di fronte alla svolta violenta dei movimenti di protesta. E qui passo alla seconda ragione: volevo immaginare la vita che avrebbe fatto mio padre se avesse fatto altre scelte e nel personaggio di Francesco c’è molto di lui, un ragazzo davanti ai cancelli della fabbrica con un tamburo in una mano e nell’altra una manciata di sogni da realizzare e poche certezze.

Nell’incipit della quarta di copertina si legge: “Prima o poi capita a tutti: la vita ci mette degli ostacoli sulla strada e a fare la differenza non è tanto come inciampiamo, quanto il modo in cui ci rialziamo”. Nel romanzo qualcuno si rialza qualcuno no: cos’è che fa la differenza tra le diverse storie nel libro ma, in fondo, anche nella vita?

La capacità di guardare dentro sé stessi e di trovare la forza per rialzarsi e andare avanti. Nel libro ci sono personaggi che cadono e non riescono a rialzarsi, non ne hanno più la forza perché la vita può essere meschina e metterci a dura prova. Ma c’è speranza per tutti: a volte è la mano tesa di un amico, o di un fratello come in questo caso, accettare quella mano, l’aiuto di una persona cara, può fare la differenza. Il messaggio è soprattutto rivolto alle giovani donne, quelle come Silvia, che possono finire nel fango e non sapere come venirne fuori, ma con un po’ di amor proprio e guardando la vita da una nuova angolazione, possono uscire da ogni situazione difficile nella quale sono cadute.

Una curiosità, il ringraziamento alla PFM: come probabilmente avrai visto, nel nostro blog una sezione importante è dedicata alla musica, quindi è quasi d’obbligo chiederti come le loro canzoni si siano intrecciate al tuo romanzo e ne siano state fonte d’ispirazione.

Quella con la PFM è stata una bella corrispondenza. Li avevo contattati per sapere la loro sulla musica del tempo e loro mi hanno dato un loro parere, perché nel romanzo la musica ha un grande spazio, e’ stata preziosa alleata per ricreare l’atmosfera di quegli anni; ci sono le canzoni impegnate, quelle di Guccini che Francesco ascolta con il suo compagno Sergio, le canzoni di Silvia e, fra tutte c’è Impressioni di Settembre della PFM, la canzone preferita da Francesco, la ascolta in un momento di forte crisi interiore. Con la PFM ho avuto uno scambio di lettere e hanno voluto una copia del romanzo.

Parlando della casa editrice, nei ringraziamenti ne evidenzi lo spirito positivo e familiare; pregevolissima poi la loro scelta di devolvere parte del ricavato a scopi benefici. Come è avvenuto l’incontro con la Pathos Edizioni e poi, più in generale, com’è stato l’impatto con il mondo dell’editoria?

Beh devo dire che il mondo dell’editoria ha delle regole che spesso non sono ben comprensibili da chi scrive. Io avevo diverse storie che erano rimaste nel cassetto, non le avevo mai inviate a un editore. Quando ho inviato il manoscritto di Non chiamarmi sorellina ho avuto alcune offerte di pubblicazione e, non sapendo come muovermi, ho scelto una casa editrice che avesse una buona distribuzione e che mi facesse sentire in famiglia, il fatto che dietro ci fosse uno scopo benefico ha giocato sicuramente un ruolo importante nello scegliere proprio questa casa editrice. Non è facile per uno scrittore muoversi in questo ambiente e quando trovi degli addetti ai lavori che ti sanno consigliare, come è avvenuto nel mio caso, è davvero un privilegio.

Che riscontro sta avendo, al momento, questo tuo esordio letterario?

La cosa che mi gratifica maggiormente è quando le persone che hanno letto il libro mi cercano per parlare del romanzo, è come se la loro curiosità non si esaurisse con l’ultima pagina. Questo mi rende felice perché il romanzo continua a vivere, assieme ai personaggi, nella mente, nell’immaginazione del lettore. Il mio scopo dall’inizio era di trasmettere un’emozione e quando dalle parole del lettore capisco che questa emozione è arrivata, ho già raggiunto il mio risultato. Per il resto non credo sia facile per chi esordisce, forse c’è una diffidenza di fondo che va superata e sono proprio i blog come il vostro e i canali che parlano di libri ad aiutare gli scrittori a farsi conoscere.

Tornando nuovamente all’ultima pagina del libro, ti congedi dai lettori proiettandoti verso nuovi capitoli e nuove fonti d’ispirazione; da parte nostra non possiamo che farti un grandissimo in bocca al lupo sperando, nel nostro piccolo, di contribuire a fare conoscere un po’ di più questo tuo primo romanzo. E chissà che presto non ci incontreremo a parlare del secondo.

Di certo la scrittura continua a occupare una parte importante della mia vita, sarebbe una gioia tornare a condividerla con gli altri e riuscire a trasmettere nuove e autentiche emozioni. Credo di aver trovato una nicchia che mi rappresenta: storie di famiglie complesse come complessi sono i rapporti familiari. In questo momento sto lavorando a una storia che mi ha fatto andare indietro nel tempo agli anni ‘40, un nuovo, entusiasmante viaggio della mente…